Testimoni del disastro aereo
Antonio Monti
Antonio Monti (1938-2020), di Vergiate, dal 1953 al 1973 vigile del fuoco, il 26 giugno 1959 fu tra i Vigili del fuoco delle due squadre del distaccamento Busto-Gallarate accorse a Olgiate Olona:
«Quel pomeriggio del 26 giugno 1959, la notte successiva e il 27 giugno furono infernali per noi delle due squadre accorse sul luogo del disastro: il maresciallo Bianchi, Marco Geddo, Pasquale Moia, Giampiero Macchi, Boneschi, Bosio, Renzo Gussoni, Locati, Azimonti, Pozzi, Checchi; in caserma restarono Mazzucchelli al centralino e Natale Carnevali. Quando sotto il nubifragio arrivammo davanti a quella scena, sapevamo bene cosa ci fosse dentro: col Fiat 42 [autopompa allora in dotazione, con cisterna capiente millecinquecento litri] abbiamo buttato schiumogeni per poco, perché ci siamo resi conto che non c’era nessuna vita da salvare: inutile infierire sui resti dei cadaveri, alcuni dei quali erano fuori dalla fusoliera. (...) Noi e le Forze dell’ordine presidiammo la zona anche nei giorni successivi: nessun oggetto di valore fu toccato o asportato dal luogo del disastro. Inoltre, quel Super Constellation si chiamava Evelyn: era un’abitudine tra i piloti TWA, quasi tutti reduci dalla seconda guerra mondiale, dare un nome agli aeroplani che pilotavano, proprio come si faceva in guerra, e sotto la cabina di pilotaggio del velivolo caduto a Olgiate era dipinto il nome Evelyn. Più di tutto, però, ricordo quell’inferno a cui spesso mi è capitato di ripensare nella mia vita e nella mia carriera professionale nelle quali ho visto cinque incidenti aerei: questo di Olgiate Olona è stato decisamente il peggiore, forse perché era il primo in cui sono intervenuto e comunque per la sua gravità. La mattina del 27 giugno 1959 mi stupì una cosa: prima che iniziasse il recupero delle vittime, il personale TWA giunto sul luogo ci offrì alcolici. Solo dopo aver messo le mani nell’inferno capii quel gesto premuroso. Così, quel giorno anche noi facemmo il nostro lavoro “a botta calda”; ma la presa di coscienza di quanto vissuto e fatto saltò fuori due giorni dopo: personalmente, quel ricordo mi accompagnò sempre, tornò in mente più volte, per molto tempo, nonostante facessi il macellaio e avessi per così dire dimestichezza con la carne a pezzi».
Il nome dello Starliner L-1649A - N7313C
Dicembre 2012 - Jonathan Jon Hibbard Proctor (1942-2020), storico esperto della TWA, ci ha scritto riguardo al nome assegnato allo Starliner L-1649A (n° reg. N7313C, msn 1015) schiantatosi ad Olgiate Olona il 26 giugno 1959:
«Per quanto riguarda il nome dell’aereo N7313C, le registrazioni della TWA indicano invece che al velivolo venne assegnato il nome ‘Star of the Severn’, e la confusione tra questo nome e ‘Evelyn’ è comprensibile. Tuttavia, esistono prove evidenti che soltanto i primi otto Starliners riportavano effettivamente il nome a loro assegnato mentre per i restanti aerei il nome o non venne scritto sulla fusoliera oppure lo stesso venne rimosso nella fase iniziale. Tutte le fotografie in mio possesso relative agli Starliners successivi - molte delle quali scattate prima del 1959 - mostrano che sugli aerei non era riportato il nome assegnato. Questo suggerisce che il velivolo N7313C al tempo dell’incidente non dovrebbe aver avuto alcun nome riportato sulla fusoliera. Sfortunatamente non ho mai trovato alcuna foto scattata a questo aereo prima dell’incidente del 1959.
Ho imparato che in questi casi non bisogna mai dire mai, ed è possibile che in effetti l’aereo precipitato riportasse il suo nome sulla fusoliera, ma sono dubbioso al riguardo. C’è la possibilità che il nome fosse riportato su qualche targa all’interno della cabina passeggeri, ma personalmente non ho mai sentito parlare di una tale disposizione.
Il Severn è il fiume più lungo del Regno Unito. Apparentemente la decisione della TWA di usare i nomi dei fiumi per gli aerei Starliners venne applicata ai primi dieci esemplari; al resto della flotta vennero assegnati I nomi degli estuari (e probabilmente tutti allo stesso tempo) ma si pensa che nessun nome venne assegnato agli Starliners registrati dopo il N7310C. Il perché di questa decisione se lo chiedono in molti!»
Sorge spontanea una domanda: forse ‘Severn’ è stato erroneamente interpretato come ‘Evelyn’ - a causa dei danni riportati dall’aereo in seguito all’incidente?
Enrico Biganzoli
Enrico Biganzoli (1937-2019), di Jerago con Orago, autiere sottotenente di complemento in servizio a Milano, il 26 giugno 1959 percorreva a Olgiate Olona l’autostrada Milano-Varese mentre il velivolo si schiantò al suolo:
«Avevo ventidue anni e da pochi giorni prestavo servizio militare a Milano come autiere, sottotenente di complemento nell’officina riparazioni degli automezzi dell’Esercito. Il pomeriggio del 26 giugno 1959 decisi di recarmi a casa mia a Jerago con Orago per rifornirmi di indumenti e con la mia Fiat 600 percorrevo l’autostrada Milano-Varese in direzione nord mentre imperversava un forte temporale; dopo Castellanza e mentre da lontano già si vedeva il primo dei ponti sull’autostrada in territorio di Olgiate Olona prima ho sentito un forte botto che però non somigliava al rumore di un tuono, poi con la coda dell’occhio ho visto alla mia destra qualcosa di gigantesco che cadeva in fiamme. Ho fermato l’auto sul ciglio della carreggiata - allora si poteva farlo - e sotto il temporale, addosso la divisa nuova fiammante, ho disceso la scarpata e mi sono addentrato nella parte di bosco vicina all’autostrada, che non era in fiamme. Ho raggiunto il luogo dello schianto e ho visto la carlinga dell’aereo, una parte della quale intera, schiacciata al suolo; mi sono fermato a osservare le lamiere da dove si alzava una colonna di fumo nero; non si distinguevano i rottami dai resti dei passeggeri del velivolo; c’era un forte odore di carburante: quanto visto mi causò il voltastomaco. Dopo alcuni minuti, ho sentito voci femminili al di là del punto in cui mi trovavo, in mezzo al fumo: a queste persone ho gridato di stare lontano e che c’era pericolo. Dopo un quarto d’ora sono arrivati i Vigili del fuoco e ho parlato con un graduato; ho dovuto abbandonare il luogo, perché dovevo ancora recarmi a casa e rientrare a Milano in caserma entro sera. Raggiungendo l’auto, ho notato al suolo altri rottami dell’aereo caduti distanti dalla carlinga. Quando ho percorso l’autostrada in senso inverso, andando da Jerago con Orago a Milano, ero assai di fretta e ho solo visto sulla carreggiata opposta una fila di auto ferme a bordo strada. Questa tragedia cadde poi per anni nel dimenticatoio: ma ogni volta che sono passato in autostrada da Olgiate Olona, sempre ho rivisto davanti agli occhi quella carlinga sconquassata».
Enrica Castiglioni
Enrica Castiglioni (1928-2020), il 26 giugno 1959 tra i militanti della Croce rossa accorsi a Olgiate Olona:
«Mi ricordo molto bene il disastro aereo di Olgiate Olona, perché è stato un fatto veramente angosciante: non solo perché ero già nella Croce rossa, ma proprio per la questione, così, generale, il rischio e tutto quanto. È stata proprio una cosa tremenda anche perché gli aerei allora erano pochi e facevano molto scalpore notizie di questo tipo. L’immagine che più mi è rimasta impressa nella memoria è quella della basilica San Giovanni battista di Busto Arsizio con tutte le bare messe in fila. Perché il nostro monsignor Giovanni Galimberti si era tanto prestato e aveva offerto la chiesa per accogliere tutte le bare: e questo spettacolo desolante con tutti i parenti venuti da tutte le parti qui dalla Lombardia era stata una cosa veramente che mi è rimasta impressa. L’apporto della Croce rossa è stato abbastanza utile, perché l’ispettrice non c’era: era via, era andata a visitare la casa di Fiesole dove noi ogni tanto ci possiamo ricoverare, ci possiamo passare dei giorni. Una vice ispettrice, ora già morta anche lei, la professoressa Eufemia Rossi aveva preso le veci dell’ispettrice e aveva fatto un servizio stupendo, aveva organizzato le più anziane, quelle che sapevano fare più cose. Però la Croce rossa come intervento sul campo non ha fatto molto: era lì per ricevere i parenti, qualcuno che si sentiva male. Io mi ero fatta male alla mano sciando, mi avevano appena levato il gesso ed ero stata messa al telefono; telefonavo con la mano sinistra per raccogliere tutte le sorelle crocerossine che potevano esserci: sono accorse tutte e ciascuna ha dato il proprio apporto. C’era tanta disperazione tra i parenti sia per il fatto in sè, sia perché c’erano state voci di piloti di linee aeree concorrenti, che dicevano: se l’aereo avesse aspettato cinque minuti, il fulmine non l’avrebbe colpito; ma queste erano voci di popolo, diciamo, prese e raccolte così».
Davide Barbieri
Davide Barbieri (1909-1987) al momento della sciagura si trovava nella sua casa a Cascina Agnese:
«Io ero in casa, vicino a mia moglie quando ho sentito un boato e contemporaneamente ho visto l’abbaglio di un lampo. Mia moglie si è segnata. Poco dopo un altro boato. Sono passati pochi minuti. Si è spenta la luce. In quello stesso istante ho sentito mio figlio che correva verso casa gridando terrorizzato: “Papà, papà sta precipitando un aeroplano in fiamme”. Aveva gli occhi che non avevano più colore. Sono corso fuori ed ho visto che l’aeroplano man mano che si abbassava si dirigeva verso la nostra casa. Venendo giù faceva il rumore come di una turbina, come del vento quando c’è tempesta. Lo vedevo avvicinarsi ed ho capito che se non scappavo subito si sarebbe potuto morire tutti. Ho preso allora mia moglie per un braccio, ho gridato ad Adele e a Ugo di venire con me dalla parte opposta della casa. Quando siamo usciti ho visto l’aereo a distanza di non più di cinquanta metri. Pareva quasi volesse venirmi addosso. Avevamo fatto appena in tempo a rifugiarci dietro il muro opposto della cascina che ho sentito un altro enorme boato e la casa tremare. Mia moglie urlava, Ugo singhiozzando mi diceva: “Papà, papà, non voglio morire”. Dal relitto si levavano alte fiamme. C’era tutto intorno un calore tremendo. Tutti quanti ci allontanammo senza pensare a portar via niente. Dopo il boato ci fu un attimo di silenzio. Non un lamento veniva dall’ammasso di rottami: nessuno che chiedesse aiuto. Erano tutti morti. Poi cominciò il crepitio delle fiamme. Il mio vicino Tullio Adobati prese subito la sua moto e corse ad avvertire i pompieri. Lungo la strada si incontrò con i Carabinieri di Castellanza, guidati dal maresciallo Pietro Barello, i quali avendo visto esplodere in aria l’apparecchio stavano accorrendo anche loro verso la nostra cascina. Poi non ricordo più niente. Ha cominciato a venire tanta gente. C’è stata tanta confusione intorno. Tutti mi domandavano qualcosa ed io non sapevo proprio cosa rispondere a tante domande».
(tratto da Il Messaggero di sabato 27 giugno 1959)
Ugo Barbieri
Ugo Barbieri al tempo del disastro aereo aveva 15 anni e risiedeva con la famiglia proprio a Cascina Agnese. Il 26 giugno 1959, al momento dello schianto del Super Constellation si trovava nel cortile della sua casa. Terrorizzato da ciò che aveva visto raccontò ai reporter accorsi sul luogo dell’incidente:
«Sembrava che l’aereo fosse diretto proprio verso di me, stava cadendo in fiamme e sembrava fosse continuamente colpito dal fulmine. Ma probabilmente si trattava delle fiamme che avvolgevano la fusoliera».
Olga Adobati
Olga Adobati (1918-2011) al momento della sciagura si trovava nella sua casa a Cascina Agnese. Raccontò ai reporter accorsi sul luogo del disastro:
«Erano circa le 5:30 del pomeriggio. Pioveva a dirotto. Pareva di assistere alla fine del mondo. Il cielo era nero e i bagliori dei fulmini si susseguivano continuamente nell’oscurità. Le mie due piccole bambine erano incollate alla finestra, con i loro nasi schiacciati contro il vetro, a guardare i fulmini e la pioggia che cadeva. All’improvviso Maria, la più grande, di dieci anni, si precipitò verso di me urlando “Mamma, un aereo sta cadendo su di noi”. Era terrorizzata. Spalancai la finestra e vidi una grande colonna di fumo e una massa di fiamme che sembravano avanzare verso di noi. Urlai a tutti di buttarsi per terra e di infilarsi sotto i tavoli, un istante dopo ci fu una tremenda esplosione. Subito dopo il boato ci fu un grande silenzio. Ci precipitammo fuori in preda al panico e la prima cosa che mi colpì fu la vista di alcune bambole che giacevano nella pioggia e nel fango. Una bambola, a prima vista, mi sembrava un bambino. Nella cabina di guida il pilota era ancora aggrappato ai comandi dell’aereo».
(tratto dal Sydney Morning Herald di domenica 28 giugno 1959)
Costanzo Colombo
Costanzo Colombo (1926-2011) il 26 giugno 1959 ritornava alla tintoria “Castellanza & Borri” alla guida di un camion e sotto il violentissimo nubifragio fu attirato e incuriosito dagli sguardi delle persone: tutti rivolti verso il cielo; poi, davanti a sè in pochissimi attimi vide precipitare i timoni del Super Constellation che si appoggiarono su un muro di cinta e gli tagliarono la strada, costringendolo a fermarsi. Preso coscienza della grave sciagura, fu tra i primi ad accorrere in via per Marnate.
Ha raccontato con commozione:
«Sono scappato dalla disperazione: c’erano in giro tutti i pezzi di persone, le teste in mezzo alle piante».
Giuseppe Cerana
Giuseppe Cerana (1932-2020) il 27 giugno 1959 fu reclutato per saldare lo zinco delle sessantanove bare contenenti i resti delle vittime, sebbene non fosse saldatore:
«Uno dei saldatori chiamati per chiudere le bare ebbe un malore e per questo fu rimpiazzato dal sottoscritto. Il mio lavoro era mettere l’acido muriatico sullo zinco che diventava cotto e faceva attaccare lo stagno della saldatura delle bare. Ci siamo arrangiati: non c’era da fare la prova con la candelina per vedere se la bara avesse perdite e c’era giusto il tempo per chiudere le casse e caricarle a gruppi di quattro sui camion che le portarono nella basilica di Busto Arsizio. I corpi delle vittime erano deformati: nella maggior parte di essi c’era solo il tronco e alcuni erano squarciati».
09/07/2021 - Un anno fa (6 luglio 2020) l’olgiatese Giuseppe Mario Cerana, testimone oculare del disastro aereo e volontario nella saldatura dei feretri, ha raggiunto le settanta vite immortali. Riordinando i suoi effetti personali, i familiari hanno trovato due preziose testimonianze da lui conservate: il negativo di una fotografia che immortala il timone dello sfortunato velivolo TWA precipitato sul muro di cinta di uno stabilimento tessile a Olgiate Olona e un semplice manufatto con incastonata la stessa fotografia realizzato da Cerana a ricordo di quei giorni per lui indelebili. Ringraziando la famiglia di Cerana, lo staff promotore degli eventi commemorativi del 26 giugno 1959 ancora una volta ricorda con affetto Giuseppe Mario.
Giovanni Rossini
Giovanni Rossini (1903-1986), sindaco di Busto Arsizio, fu uno dei primi ad accorrere sul luogo della sciagura:
«Mi trovavo all’interno dello stabilimento Castellanza & Borri quando, ad un certo punto, si udì un tremendo boato e contemporaneamente guizzò il bagliore di un lampo. Qualche istante dopo un secondo boato. Capii che qualcosa di grave doveva essere accaduto perché avevamo percepito pochi istanti prima sopra di noi il rombo dei motori di un aereo e questi si erano immediatamente taciuti dopo il primo boato. Uscii fuori e vidi proprio sopra la mia testa l’aereo che si infiammava e cominciava a precipitare. Fiammate rosse e gialle si levavano dal corpo centrale. Poco dopo, quando l’aereo, cadendo a vite, aveva percorso metà della precipitosa discesa, lo vidi andare in pezzi: prima perse un’ala, poi man mano che precipitava lo vedevo come smembrarsi in tanti frammenti mentre la fusoliera avvampava di alte fiamme. Precipitando il quadrimotore non venne giù a perpendicolo, ma oltrepassato l’asse dell’Olona andò a cadere oltre il corso d’acqua. La sua caduta durò dai sei ai sette secondi. Presi l’auto e corsi verso il luogo della caduta segnalato da un’altissima colonna di fumo nero. Lungo la strada da Marnate ad Olgiate incappai sul cavalcavia in un traliccio della linea ad alta tensione che era stato tranciato da uno dei motori che si erano staccati dalle ali. I fili avevano preso fuoco e fra un mille scoppiettare di scintille sprizzavano vampate. Tornai indietro e finalmente potei raggiungere la Cascina Agnese. La carcassa del quadrimotore era andata a schiantarsi a pochi passi dalla cascina e proprio sulla spalla della valletta dell’Olona, le lamiere bruciavano come carta velina. Nessuno poteva essersi salvato. Con i pompieri e i Carabinieri di Olgiate e di Castellanza, giunti quasi subito, perlustrammo tutta la zona intorno. Fra i rami di un albero c’era il cadavere di un uomo. I carabinieri lo recuperarono e lo stesero a terra coprendolo pietosamente con una coperta».
(tratto da Il Messaggero di sabato 27 giugno 1959)
Daniela Crespi
Daniela Crespi, figlia di Giuseppe Crespi, necroforo del Comune di Busto Arsizio che prese parte al recupero delle vittime del disastro aereo:
«Nel 1959 io avevo poco più di un anno e non ho ricordi, se non quello vivo dei racconti della mia mamma su quell’increscioso fatto. Mio padre, Giuseppe Crespi, all’epoca necroforo comunale a Busto Arsizio, partecipò al recupero delle vittime, ma non raccontò mai a noi le scene raccapriccianti che vide, tranne della vittima “in più” che dal grembo materno passò alla morte. Per l’opera prestata, mio padre ricevette un elogio dal sindaco di Busto Arsizio, Giovanni Rossini, che conservò nel portafoglio fino al giorno in cui nel 1975 venne a mancare: per un po’ di anni lo conservai anche io nel portafoglio con orgoglio, purtroppo riducendolo maluccio!»
Pier Giorgio Fieno
Pier Giorgio Fieno (1938-2018), da vicebrigadiere dei Carabinieri il 29 giugno 1959 prestò servizio d’onore a fianco della “bara di rappresentanza” (contrassegnata col numero “1”) alle esequie delle vittime:
«Dalla mia posizione di servizio ebbi modo di osservare i parenti e la folla sia in attesa della cerimonia, sia durante la stessa, sia durante il breve corteo esterno. Non posso certo ricordare visi ed espressioni ma è ben radicato in me il senso di sgomento, di pietà, di dolore che permeava la basilica e la piazza. Per mestiere avevo una certa assuefazione al dolore delle persone colpite da un lutto, ma in quell’occasione coinvolgeva così tante persone da essere palpabile. Tanto dolore ma tanta dignità e tanta partecipazione; niente applausi, niente flash se non quelli dei pochi fotografi professionisti; tante lacrime, tante preghiere e tanto rispetto. Non mi vergogno di avere avuto più volte le lacrime agli occhi, perché ero sì un sottufficiale dei Carabinieri, ma ero anche un qualunque ragazzo di vent’anni».
Gualtiero Conti
Gualtiero Conti
Gualtiero Conti (1932-2015), giornalista professionista legnanese doc, medaglia d’oro per i cinquant’anni di carriera giornalistica nel 2015, decano dei giornalisti legnanesi, ha ricordato:
«Lasciai il taxi sulla provinciale, alle porte di Marnate in provincia di Varese, erano da poco passate le ore 18:30. Pioveva a dirotto, il cielo era nero e mi avventurai nella vallaccia, tra boschi di acacie, cariche d’acqua. Giunto sul terreno pianeggiante, vidi le luci di quattro fotoelettriche puntare sui resti dell’aeroplano grigio-perla scintillante. Il timone di coda era staccato da gran parte della fusoliera. Procedendo tra il fango della pianura, incespicai nel corpo di una giovane donna e, qualche metro più in là, nel corpo di un uomo. Erano stati sbalzati dall’aereo, un TWA di fabbricazione americana, alzatosi in volo da Malpensa, con destinazione americana; forse erano marito e moglie. Procedetti nella radura e mi avvicinai alle luci che illuminavano la carcassa del velivolo. Pensai che l’aereo fosse stato colpito dal fulmine proprio sulla coda e più tardi ne ebbi conferma da due funzionari di Malpensa giunti sul luogo del disastro. Intanto un popolo di curiosi si era radunato intorno ai resti e polizia e carabinieri faticavano a tenerli lontani. Aveva smesso di piovere e udii la voce disperata di una donna che avvicinatasi urlava piangendo: “Rosa, Rosa, la mia bambina, era tornata in Italia per festeggiare l’anno di matrimonio. Aspettava un bambino...”. Invece un tragico destino l’aveva colta. Intanto erano giunti vari colleghi di alcune testate: Egisto Corradi del Corriere della sera, Onorato Orsini de La notte, che al giornale era critico cinematografico e per ultimo, tra coloro che conoscevo, Francesco Rosso de La stampa di Torino. Io cronista ventisettenne, raccoglievo notizie per Il popolo di Milano. Ero stato fra i primi cronisti ad arrivare sul luogo del disastro, quel tardo pomeriggio del 26 giugno 1959. Di lì a poco giunse l’arcivescovo di Milano, il bresciano Giovanni Battista Montini, che sarebbe diventato papa Paolo VI alcuni anni dopo. Il presule salì sui rottami e impartì la benedizione alle numerose salme che giacevano perlopiù sedute nella carlinga. Poi il cardinale abbracciò la donna piangente e la benedisse. Entrammo nella casa colonica sfiorata dall’aereo precipitato. “Pioveva a dirotto – ci disse una ragazza di circa 16 anni – io mi ero avvicinata alla porta per chiuderla e nella penombra (non era ancora in uso l’ora legale erano da poco passate le 17.30), vidi il fulmine colpire l’aereo e illuminare il cielo a giorno e poi precipitare nell’orto di casa a pochi metri da noi. Mio padre mi aveva appena detto di chiudere la porta perché l’acqua scendeva di traverso... Abbiamo sentito uno schianto e la terra ha tremato come se ci fosse stato un terremoto. Siamo stati fortunati. Potevamo essere morti! Forse per noi è stato un miracolo”. Intanto io avevo il problema del ritorno al giornale, per la pubblicazione del testo ed Egisto Corradi, mentre i fotografi continuavano a far scattare i flash, gentilmente mi diede un passaggio e mi riaccompagnò in redazione a Milano. All’epoca non esistevano le odierne tecnologie. Il giorno dopo, sabato, un sole beffardo dardeggiava sulle bare bianche allineate sull’aia della cascina Agnese: in qualche bara solo resti ossei impossibili da identificare. Mentre risentivo l’odore nauseante dei cadaveri, rivivevo la sciagura, pensando ai mocassini beige e all’impermeabile che avevo dovuto gettare... Oggi, a più di cinquant’anni, il mio naso non ha dimenticato».
Silvana Scanagatta e Gualtiero Conti
Silvana Scanagatta
Silvana Scanagatta, scrittrice, pittrice e moglie di Gualtiero Conti ha ricordato il disastro aereo del 26 giugno 1959 nel suo racconto Una bambina ricorda:
«Avevo cinque anni e giocavo nel giardino di casa a Castellanza con mia sorella Marinella. Il cielo era livido e minacciava temporale. Mia madre si era affacciata alla finestra e, preoccupata da tuoni e fulmini, sollecitava a entrare in casa. Per consuetudine, bruciava con una preghiera delle foglie di ulivo benedetto. Erano gli anni in cui non era improbabile che un temporale estivo portasse la grandine e con quelle palline di ghiaccio, mia sorella e io facevamo la granita al limone in una grande zuppiera. Aspettando col naso all'insù, ricordo di esser trasalita all’improvviso a causa di un tuono rimbombante e di un fulmine che abbagliava il cielo. Con le prime gocce d’acqua una saetta colpiva un aeroplano che aveva da poco superato alla mia vista la grondaia del tetto della casa. Con gli occhi fissi all’immagine vidi distintamente il velivolo d’argento spezzarsi in due parti e la coda scendere dal cielo con un crepitio accompagnata da due palle di fuoco che a mano a mano che cadevano perpendicolari, una sopra la coda spezzata del velivolo e l’altra a metà della medesima, si spegnevano lasciando una sottile scia scura che nel giro di qualche istante dissolveva nell’aria. La fusoliera in caduta rifletteva luce argento contro un cielo che si era fatto viola scuro. Mia madre uscita di corsa ci riportava in casa. Le chiesi: “Mamma, mamma, adesso? Perché?”. Mi rispose semplicemente che doveva essere accaduto qualcosa di brutto a un aereo. Intanto, la vicina di casa e altre donne del circondario si erano affacciate chi alla finestra, chi alla porta e si scambiavano concitate domande. Quella tragedia la ricordo così, nonostante la tenera età. Molti anni dopo, Gualtiero Conti sarebbe diventato mio marito. Appassionato di aeronautica, come tutti del resto in famiglia, un giorno seppi che anche lui, in quel fatidico 26 giugno 1959, non solo fu testimone della sciagura scrivendo sulle pagine de Il popolo di Milano, ma ne conservò intatta la memoria».
Loris Francesco Capovilla
Loris Francesco Capovilla (1915-2016), già segretario di papa Giovanni XXIII di cui ricorda la commozione in occasione del disastro aereo, poi arcivescovo e dal 2014 cardinale (Sotto il Monte Giovanni XXIII, Italia):
«Caro Signore, ricordo il luttuoso evento di Olgiate, 26 giugno 1959. Impressione dolorosissima anche in Vaticano. Santa Messa del Papa. Tutto è documentato in Segreteria di Stato. Si potrebbero consultare i quotidiani e settimanali di allora. Cordialità, auguri, lunghi anni».
Suore della carità di Santa Giovanna Antida Toureth
Il 26 giugno 1959 la fusoliera in fiamme del Super Constellation precipitò evitando per poche decine di metri il complesso dell’Opera prevenzione antitubercolare infantile (Opai) che ospitava centinaia di bambini. Le Suore della carità di Santa Giovanna Antida Toureth, operanti nella struttura, sul “diario” dell’Opai il 26 giugno 1959 scrissero:
«26 giugno 1959 Alle ore 17.35 è caduto un aereo in direzione del nuovo Padiglione, a 5 metri di distanza dal Preventorio. Appena si è sentito il fragore, le suore tutte sono state nei settori accanto ai bambini. Compreso del grave pericolo, si sono mantenute calme per non impressionare i loro cari piccini; tanto è vero che non si sono accorti, attribuendo il forte rumore dell’aereo, che stava bruciandosi, al temporale. È stata veramente una grazia del Signore e della Mamma Celeste non essere accaduto nulla in Preventorio, poichè sono caduti parecchi pezzi di metallo in diversi posti (...)».
Ospiti dell’Opera prevenzione antitubercolare infantile (Opai)
Il disastro aereo del 26 giugno 1959 risparmiò Olgiate Olona, la sua popolazione e anzitutto il complesso dell’Opera prevenzione antitubercolare infantile (Opai) - a poche decine di metri da dove si schiantò la fusoliera - che ospitava centinaia di bambini accuditi dalle religiose, dalle inservienti e dal resto del personale. Alcuni di loro oggi ricordano ancora bene la sciagura, come attestano le testimonianze contenute nel volume Opai, io c’ero... Voci e volti della Casa dei bambini di Olgiate Olona presentato a Olgiate Olona il 26 ottobre 2014 e scritto dall’olgiatese Enrica Mariateresa Ferrazzi che gentilmente ha concesso di pubblicare alcuni stralci delle testimonianze.
Adondi Elena (di Verbania, in Opai da bambina 1958-1960):
«Il 26 giugno 1959 con mia sorella Serenella in un’aula stavamo imparando una poesia da recitare a un matrimonio che sarebbe stato celebrato il giorno successivo a Olgiate Olona nella chiesa parrocchiale. Poiché suggerivo alcune strofe a mia sorella, ero stata messa in castigo davanti alla finestra: pioveva a dirotto e tuonava. Improvviso un rombo assordante, il cui ricordo è ancora nelle mie orecchie: un aereo stava precipitando. Davanti a quella finestra avevo assistito a una tragedia che, saprò molti anni dopo, determinò la morte di settanta persone. Avverto la suora di ciò che ho visto: “Cade! L’aereo sta cadendo!”; e lei “Zitta!” in tono perentorio. Io ripeto: “Ma cade!!!”; e poi il disastro: il tutto è durato pochi minuti. Ricordo un gran fermento: tutti i ragazzi e le ragazze in chiesa a pregare, e la sera, dal dormitorio, a guardare attraverso l’unica finestra che dava sulla strada tutto un correre di gente».
Adondi Serenella (di Verbania, in Opai da bambina 1958-1960):
«Ricordo un episodio triste: eravamo in classe a recitare una poesia quando al di là delle finestre un forte temporale si scatenava; avvertimmo un rombo di motori e un boato fortissimo. Ci dissero solo più tardi che un aereo passeggeri era precipitato vicino al frutteto. Venni a conoscenza solo anni dopo che costò la vita a una settantina di persone».
Andreani Oriana (in Opai da bambina 1958-1960):
«Un ricordo ancora vivo nella mia memoria è che negli anni in cui ho soggiornato, cadde un aereo proprio a Olgiate Olona: era uno dei primi incidenti di quel tipo e aveva scosso tutta la comunità. L’eco di questo fatto era arrivato a noi bambini e la cosa colpì molto la nostra fantasia».
Bertelli Ida (di Mura, Brescia, lavorò in Opai 1957-1962):
«Rammento il pomeriggio del 26 giugno 1959 quando sentimmo un rumore terribile in cielo: ci affacciammo a una finestra e vedemmo in cielo una palla di fuoco che precipitava velocemente; era un aereo e per fortuna non fece feriti all’interno del Preventorio, anche se un pezzo di ala e di fusoliera caddero nel parco dell’Opai. Fortunatamente, a causa del cattivo tempo, non c’erano bambini a giocare nel parco altrimenti sarebbe stata una strage».
Corti Franca (della provincia di Brescia, inserviente in Opai 1958-1961):
«Ricordo che il 26 giugno 1959 ci fu un terribile incidente proprio vicino al bel parco del Preventorio: durante un violento temporale cadde una aereo: io ero di riposo e così, nonostante il brutto tempo, uscii per andare a vedere cosa era successo. La scena era veramente terribile: le fiamme e l’odore non si possono dimenticare. Poco dopo arrivarono le forze dell’ordine che transennarono l’area e ci fecero allontanare; seppi poi che in quell’incidente erano morte tutte le persone a bordo dell’aereo».
De Lorenzo Anna (in Opai da bambina):
«Sono entrata all’Opai il 16 agosto 1958 e lì ho frequentato la scuola elementare. Fu densa di emozioni una brutta giornata del giugno 1959 quando cadde l’aereo. Io e le mie compagne stavamo guardando la televisione quando ci comunicarono la notizia della tragedia. Per alcuni giorni non potemmo uscire nel parco, che era pieno di piccoli detriti del velivolo. Vennero anche dei giornalisti che volevano fare delle interviste».
Fontana Luigi (in Opai da bambino 1958-1960):
«Mi ricordo che un tardo pomeriggio di forte temporale, mentre seduti sulle panche guardavamo la televisione messa in alto su un trespolo, sentimmo un fortissimo boato e dalle finestre oscurate una luce strana. Dopo ciò ci fu un interminabile frastuono di sirene, di rumori provenienti da oltre il muro: si aveva l’impressione che qualcosa di tremendo fosse capitato vicinissimo all’istituto. Il giorno dopo, liberati in giardino, raccogliemmo una grande quantità di frammenti metallici. Sapemmo poi che era caduto a poca distanza dall’istituto, colpito da un fulmine, un aereo di linea dell’americana TWA. Girava voce che l’aereo fosse caduto in picchiata, che lo spettacolo fosse terribile: una pila di corpi carbonizzati ammassati, impossibile non solo il riconoscimento, ma addirittura la loro separazione».
Giove Franco (in Opai da bambino 1959-1960):
«Dal mese di marzo 1959 al mese di settembre 1960 ero ospite nel preventorio di Olgiate Olona dell’Opai. Avevo tredici anni. Forse il ricordo più forte del periodo trascorso a Olgiate è quello del 26 giugno 1959. Stavamo giocando nelle sale del padiglione quando tutto a un tratto le suore ci hanno riunito, ci hanno condotto nella sala teatro e abbiamo cominciato a recitare il Rosario. Fatto inconsueto perché l’orario del Rosario era più tardi. Noi vedevamo che l’atteggiamento delle suore era di preoccupazione e non ci rendevamo conto del perché. Si era verificato un disastro aereo avvenuto sopra il cielo di Olgiate Olona. Un Superconstellation della TWA dopo aver fatto il pieno di carburante ed essere decollato dall’aeroporto della Malpensa è stato colpito da un fulmine durante un violento temporale e si è schiantato al suolo evitando per poche decine di metri il complesso dell’Opai. Un pezzo d’ala, di fusoliera e parecchi frammenti di metallo sono caduti tutto intorno a noi nel parco dell’Istituto. Abbiamo saputo in seguito che tutti i passeggeri dell’aereo erano morti, una settantina di persone».
Magagnini Nella (lavorò in Opai):
«Rammento un giorno del giugno 1959: ero intenta a fare il bucato, mentre fuori c’era un violento temporale: improvvisamente si udì un rumore terribile; corsi fuori insieme con altre ragazze e ci accorgemmo che un aereo stava precipitando. Fu una scena veramente drammatica; fortunatamente per l’Opai non ci furono conseguenze, ma l’aereo si schiantò proprio nei pressi del preventorio: sarebbe bastato poco perché la sciagura assumesse proporzioni ancora maggiori».
Mattielli Claudio Roberto (in Opai da bambino):
«Un anno cadde un aereo, probabilmente un bimotore di piccola stazza. Ricordo i pezzi sparsi qua e là nel campo di calcio compreso ali e turbina. Quanto clamore e curiosità fece quel fatto! Ricordo uno stralcio di giornale».
Mussati Massimo (di Varese, in Opai da bambino 1957-1959):
«Il ricordo più vivo è il famoso giorno di quella disgrazia dell’aereo. Pioveva e noi bimbi giocavamo; all’improvviso un forte rumore, diverso dai tuoni del temporale in corso, ci fece correre, tutti, ai finestroni per capire cosa fosse successo: ricordo un fumo marrone che si innalzava in cielo. Una suora ci tranquillizzò dicendoci che quel fumo era il fulmine. Ricordo che non ci fecero uscire per diverso tempo».
Ortis Maria Cesarina (in Opai da bambina):
«Uno dei ricordi più vivi nella mia mente è quello del disastro aereo del 1959. C’era un bruttissimo temporale. Ricordo che si udì un rumore fortissimo. Poco dopo entrò un’inserviente, talmente terrorizzata da quello che aveva visto da non riuscire a parlare. Mormorava frasi sconnesse: «È caduto il sole!». In realtà a essere caduto fu un aereo. Fu un vero miracolo se nessuno dei bambini dell’Opai morì durante la tragedia. Nel parco c’erano numerose detriti del velivolo: anche alcuni seggiolini. Uno era finito addirittura sulla terrazza! Nei giorni successivi le suore non ci fecero uscire nel parco, perché erano in corso i rilievi. Ricordo che alcune bare vennero ricoverate in una camera ardente improvvisata al piano terra del padiglione contumaciale».
Scola Giancarlo (in Opai da bambino):
«Tra i pensieri ricorrenti, uno su tutti prevaleva: il mistero dell’aereo caduto che riusciva in quel momento di grossa intimità a porre in seconda battuta pensieri magari malinconici. Certo, il recitare preghiere non favoriva pensieri divertenti. Era diffusa la voce tra noi ragazzi che in fondo alla pineta, a confine del muro di cinta, zona più volte sfiorata ma mai raggiunta, fosse caduto un aereo durante l’ultima guerra. Fatto vero? Leggenda? Sta di fatto che era tanta la curiosità di noi ragazzini che sarebbe stato un sogno poter raggiungere quel luogo e perlustrarlo, per trovare forse segni dell’avvenuto fatto o magari oggetti appartenenti all’aereo stesso. Mistero mai svelato».
Sonzini Angelo (in Opai da bambino):
«Dell’incidente aereo del 26 giugno 1959 rammento che quella sera c’era un temporale fortissimo: ci mandarono in salone e ricordo le sirene delle ambulanze; il giorno successivo, uscendo nel parco, c’era della gente che raccoglieva dei rottami di aereo».
Vernizzi Fabrizio (in Opai 1958-1960):
«Rammento il boato tremendo che sentimmo in quel pomeriggio d’estate del 1959 quando cadde un aereo proprio vicino al parco dell’Opai: in quel momento stavamo guardando la televisione».
testimonianze tratte da: FERRAZZI Enrica Mariateresa, Opai, io c’ero... Voci e volti della Casa dei bambini di Olgiate Olona, Olgiate Olona, 2014 - sito web www.opai.it
Ernesto Milani
Alcuni dipendenti della TWA operanti all’aeroporto di Milano-Malpensa accorsero sul luogo del disastro aereo. Tra loro Ernesto Milani, che sul sito web portal.lombardinelmondo.org ha raccontato:
«Le mie interviste ai dipendenti TWA che parteciparono alle operazioni di soccorso confermano lo sgomento seguito all’incidente. In quei tempi un volo era ancora un evento e la TWA era leader nel trasporto aereo transatlantico. Il personale di terra aveva un rapporto molto vicino con i passeggeri e soprattutto con gli equipaggi. Fu quindi terribile per loro andare a Olgiate Olona e partecipare alle operazioni di recupero dei corpi sia dei passeggeri sia dei membri dell’equipaggio salutati pochi minuti prima. La tensione si allentò soltanto con l’arrivo da Parigi del vicepresidente TWA e della sua squadra d’emergenza che presero in mano la direzione del recupero del relitto e dell’inchiesta relativa. Incidente che fu sempre ricordato dai dipendenti TWA di Malpensa, molto spesso accusata di essere troppo meticolosa in tema di sicurezza sia verso i passeggeri sia verso la manutenzione degli aerei».
Giacinto Ferrazzi
Giacinto Ferrazzi (1930-2021) accorse sul luogo del disastro aereo con altri dipendenti TWA in servizio all’aeroporto di Milano-Malpensa:
«Quando è successo il disastro abitavo a tre passi da Malpensa e dopo aver sentito la notizia sono corso sul posto, ma quando sono arrivato ormai non si poteva più entrare. Lavorando per la TWA che operava a Malpensa, abbiamo cominciato a preparare delle casse, delle casse di imballaggio eccetera, per rimettere insieme e spedire le cose che venivano recuperate dai resti della fusoliera. “La prealpina” di quel giorno non l’ho potuta avere, però sfogliando “La prealpina” di quattro anni fa ho visto questo inserto e me lo sono ritagliato. È una tragedia che mi è rimasta dentro, pur avendola vista da lontano era qualcosa di impressionante. Mi ricordo gli alberi che erano pieni di resti umani, è stata veramente una tragedia».
Andrea Vaccaro
L’artista legnanese Andrea Vaccaro (1939-2019) vide precipitare i pezzi del Super Constellation della TWA. Questa la sua testimonianza scritta il 20 gennaio 2008 nel suo blog pittoreandreavaccaro.blogspot.it:
«Sono stato testimone oculare della caduta dell’aereo decollato dalla Malpensa con cento persone a bordo diretto in USA [per l’esattezza le persone a bordo erano settanta e il velivolo era diretto a Parigi, NdR]. Tra le vittime la sorella dello scienziato Enrico Fermi. Un fulmine verso le ore quindici di metà giugno 1958 ha colpito l’aereo [la sciagura avvenne alle 17.33 del 26 giugno 1959, NdR]. Il motore si è spento e le fiamme hanno circondato tutto l’aereo dal muso alla coda. Il volo muto è continuato almeno per qualche minuto (forse dieci minuti). Poi si è staccato un motore dall’ala destra che è precipitato a Marnate (Va). L’aereo ha percorso ancora qualche minuto in cielo. Poi il muso si è inclinato verso il basso e l’aereo si è avvitato in discesa. L’impatto col terreno è avvenuto nella Valle Olona, qualche chilometro ad ovest di Marnate. Arrivato al suolo è esploso ed una immensa colonna di fumo nero si è levata in cielo. Io sono corso con la bicicletta sul luogo del disastro da Legnano a qualche chilometro di distanza ma ho visto solo il motore che si era staccato ed era precipitato prima dell’aereo, conficcato in un campo nella prossimità dell’autostrada dei laghi. Più tardi ho avuto la notizia della morte di tutti i passeggeri. Perché internet non ne parla? Qualche inesattezza è possibile visto che sono trascorsi cinquant’anni circa. Dopo cinquant’anni non è facile ricordare tutto».
Leo Granata
Leo Granata vide precipitare i pezzi del Super Constellation della TWA mentre rientrava nella sua casa di Olgiate Olona situata a poche centinaia di metri dal punto in cui si schiantò la fusoliera del velivolo:
«Erano circa le 17.30 del 26 giugno 1959: provenivo in bicicletta da Castellanza, avevo fretta, perché minacciava di scoppiare da un momento all’altro un forte temporale. Arrivato al cancello di entrata di casa, in via Cesare Battisti, iniziò a piovere. Mentre depositavo velocemente la bicicletta sotto il balconcino, sentii per qualche secondo un forte sibilo che mi ricordava vagamente la frenata brusca di un treno; istintivamente alzai gli occhi al cielo e vidi qualche cosa, che al momento non capivo cosa fosse, che si stava smembrando. Mi sembrò di vedere tre pezzi che stavano cadendo, in realtà erano di più. Il primo, abbastanza voluminoso, cadeva a destra rispetto alla mia posizione, il secondo, il più grosso che nel frattempo si era incendiato, cadeva nella mia direzione e così pure il terzo. Fu necessario qualche secondo per realizzare cosa stava succedendo: era un aereo che precipitava. Il primo pezzo era un’ala con un motore, cadde a Marnate vicino alla segheria Galli, il secondo che sembrava dovesse cadermi addosso era la fusoliera in fiamme, precipitò a circa 300-400 metri oltre l’autostrada che passa a circa 50 metri da casa mia, il terzo era il timone e lo vidi passare sopra di me, planare dolcemente, sfiorare la torretta di una palazzina e appoggiarsi sulla cinta dell’officina Moro distante circa 150 metri da dove mi trovavo. Mentre osservavo il timone che scendeva, vidi cadere nel campo di sinistra alla fine della discesa di via Battisti un motore che, dopo aver sfiorato il tetto della casa dei De Dionigi, si conficcò in terra a pochissimi metri dall’autostrada formando un cratere. Immediatamente corsi in direzione del punto in cui era caduta la fusoliera. Mentre mi ci avvicinavo percorrendo via San Genesio pensavo di essere uno dei primi ad arrivarci, ma dovetti ricredermi: all’incrocio di via San Genesio con via Luigi Tovo che dista 100 metri dal luogo della tragedia si era già formato un nutrito gruppo di persone e c’era chi sollecitava ad allontanarsi per un incombente pericolo di scoppio. Rientrai a casa. Verso sera ritornai di nuovo sul posto e riuscii ad arrivare a qualche decina di metri dai resti della fusoliera. C’era tanta gente, che le forze dell’ordine a fatica cercavano di allontanare».
Marco Pisani
Marco Pisani, nato nel 1950, vide precipitare il Super Constellation della TWA in fiamme mentre si trovava a casa:
«Quando mi capita di passare davanti al monumento che ricorda la tragedia del 26 giugno 1959, mi fermo per una preghiera e la mente si apre ai ricordi che, anche se lontani, sono sempre ben nitidi e impressi nella memoria. Quel venerdì pomeriggio sono a casa mia in via Vittorio Veneto e sto facendo i compiti delle vacanze; i miei genitori sono al lavoro e sono affidato a mia nonna Teresa assidua e sempre apprensiva nella sua vigilanza. C’è un violento temporale e un forte vento; la nonna, come sua consuetudine durante i temporali, esce e brucia sul pianerottolo un rametto di ulivo per allontanare il maltempo, quando all’improvviso emette un grido; esco anch’io e vedo nel cielo un aereo in fiamme che perdeva pezzi; l’emozione e lo spavento sono forti per un ragazzino di non ancora 9 anni: la mia casa dista circa 300 metri in linea d’aria dal luogo in cui si è schiantata la fusoliera. A un certo punto andiamo verso il giardino e vedo nell’aria volteggiare qualcosa che sembrano pezzi di cartone; uno di questi passa a pochi metri da me e recide di netto i sostegni dei pomodori: sono lamiere dell’aereo che si sono disperse nel paese. Alcuni giorni dopo, in seguito alla segnalazione di mio padre, sono passati i Carabinieri a ritirare la lamiera caduta nel giardino; un’altra più grande era caduta nelle scuole - a quel tempo elementari - che si trovano davanti alla mia abitazione».
Giuseppe Pinuccio Gianduia
I ricordi e le emozioni del disastro aereo del 26 giugno 1959 raccontate da nonno Giuseppe Pinuccio Gianduia alle proprie nipotine:
«Carissime Alessia e Valentina, il 26 giugno 1959... mentre è in corso un forte temporale sono seduto sotto il corridoio di casa mia, al riparo della pioggia, davanti alla porta di quella che per tanti anni era stata l’abitazione di Teresa e Stefano, cugini di mia mamma. Mamma Lucia e zia Vicenzina, sorella di mia mamma, sono al riparo davanti all’ingresso della nostra cucina. Stanno recitando il Santo Rosario mentre bruciano l’ulivo pasquale per chiedere alla Madonna di proteggere dai fulmini, soprattutto per non danneggiare il raccolto. Ho da poco compiuto undici anni. Sono stato promosso con bei voti al termine della quinta elementare e sono stato iscritto alle scuole medie del Collegio Rotondi di Gorla Minore. Non sto ubbidendo a mamma perché vorrei andare a vedere la televisione da mio cugino Giampiero che abita nel cortile vicino e che possiede il televisore da poco tempo. Io ho l’autorizzazione ad aprire la casa, ad accendere la televisione, a vedere l’arrivo della tappa del Tour, il Giro di Francia perché quando rientra Giampiero gli devo dire chi ha vinto, chi è primo in classifica e raccontare come si è svolta la tappa! Ma piove e c’è il temporale: se si guasta il televisore sono guai seri! (...)».
Annamaria Guidi
Il ricordo del disastro aereo del 26 giugno 1959 nel racconto di Annamaria Guidi:
«Quando mia sorella, più grande di me di quasi sei anni, me ne parlò per la prima volta, era passato molto tempo da quella terribile tragedia. La memoria collettiva di quell’evento funesto rimase così vivida nel corso degli anni da indurre il paese ad erigere un monumento in memoria delle vittime. Così il giorno in cui venne inaugurato, nelle case, nei bar, nei circoli, ovunque si tornò a parlare ancor di più di quel fatto che aveva stravolto la vita ordinaria del paese, ognuno ricordando dove si trovava o cosa stesse facendo in quel tragico pomeriggio di giugno del 1959. Perciò anch’io, che al tempo del disastro ero bambina di pochi mesi, volli sapere di quella vicenda (...)».
R.P.
R.P. (ha preferito l’anonimato) nel 1959 residente vicino a Livraga ha così ricordato le quattro vittime di Livraga:
«Devo la vita a mio papà. Avevamo una tenuta agricola nel Lodigiano e volevo seguire questo gruppo di amici nella vacanza a Parigi. Mio padre non mi fece andare, perché avevamo tanto frumento da tagliare e non assicurato contro la grandine. Ho obbedito con il musone. Poi la sera del 26 giugno ho sentito: Sciagura aerea del Super Constellation TWA che è caduto, eccetera…: mi è mancata la parola, ho baciato mio papà. Per mezzo secolo mi sono tenuto questo segreto e non l’ho mai detto a nessuno. Pochi anni dopo la tragedia, poi, sono venuto a lavorare e ad abitare a Marnate: fu per caso e per ragioni di lavoro. Ma dal monumento al disastro aereo passo spesso: qualche volta lascio la macchina e faccio un piccolo saluto».
Norberto Iacopino
Norberto Iacopino ha ricordato i racconti di suo padre, carabiniere in servizio a Busto Arsizio nei giorni della tragedia:
«Fu una scena infernale che rimase impressa nelle persone e ai soccorritori; tra l’altro mio padre all’epoca era in servizio a Busto Arsizio ed era con il Capitano quando videro precipitare l’aereo, quindi si diressero immediatamente sul luogo dell’impatto dove trovarono già sul posto alcuni colleghi di Castellanza, subito dopo arrivò la squadra di vigili del fuoco. I particolari più scabrosi non me li ha mai raccontati, ma arrivare sotto un diluvio in una zona boschiva e vedere, tra le fiamme e le colonne di fumo, i resti di un aereo con tanti poveri corpi dilaniati è una visione che ti segna, anche a chi è del mestiere e ha visto le atrocità della guerra. Mi sono venuti alla memoria i racconti sulla difficoltà di evitare che qualcuno cercasse di prendere come souvenir qualche pezzo; infatti mio padre contattò personalmente il conte Agusta per avere a disposizione un elicottero che consentisse di circoscrivere velocemente l’area dove caddero».
Francesco Enrico Speroni
Francesco Enrico Speroni, udito il rumore dell’aereo, si affacciò alla finestra di casa e vide il fulmine colpire il velivolo:
«Ricordo benissimo il disastro aereo di Olgiate Olona: avevo 12 anni e già allora ero molto appassionato di aviazione. Appena ho sentito il rumore dell’aereo, mi sono affacciato alla finestra di casa e ho visto questo aeroplano; ho visto appunto il fulmine che l’ha colpito, ho sentito un botto e l’aereo si è rotto in tre pezzi. Ricordo che ho chiamato mia mamma e ho detto: “Guarda: è cascato un aeroplano”. Mia mamma ha detto: “È un bambino, lascia perdere”. Invece, siccome abitavamo in corso Italia a Busto Arsizio e i pompieri stavano in via Castelfidardo, poi sono passati davanti a casa pompieri, ambulanze; quindi è seguito tutto il rumore delle sirene. Si è capito che veramente c’era stata questa grande tragedia».